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sabato 8 ottobre 2011

Salvo per Lino: "A Martina che va via"

Non sono il primo, non sarò l’ultimo papà che sposa la sua piccola bambina. Piccola no, sei sempre stata ingorda in cucina col tuo “ melluzzo” in umido e il fegatino per crescer meglio. E sei cresciuta. Avevo voglia di chiamarti “paperetta” sei diventata cigno, il più bello, dello stagno. Potrei parlarti di notti insonni a vegliare le tue febbri o di altre ad aspettare che tornassi dai primi balli coi primi ragazzini, quello che ti trafisse il cuore. E chi non ha provato quelle cose, chi non ha avuto quindici anni e poi diciotto e poi l’implume passerotto vola? Volavi già bambina nei cieli d’Inghilterra e poi di Spagna, Germania e quante volte su e giù dalla Romagna con gli occhi tra le nuvole e il cuore chissà dove. Pensavo ‘che bello, la mia bimba che vola sul mio treno, quello che mi portava a casa nella seconda classe di fumo, parolacce e sedie sporche. Lei vola come la cicogna, bella altezzosa ed alta’. Poi sei atterrata all’improvviso, inaspettata. Quando credevo già d’averti persa t’ho trovata. E il cuore stanco ha risognato ancora: ‘La paperetta è a casa! Povero sciocco, non sai che c’è già un uomo che l’aspetta al varco, quel varco non vorresti mai ci fosse. Un uomo ch’era nato chissà quando, magari mentre tu studiavi scienze. Un uomo che di già t’avrebbe rotto il cuore. Un uomo che le darà l’amore che tu hai dato e perso e ritrovato. Un uomo che sarà più forte di te e che vivrà con lei oltre di te, oltre i tuoi sogni, oltre i tuoi voli’. Allora negli inverni della neve, quelli che adori  e che adoravi anche da bambino, sentirai bussare alla porta e il cuore batterà come quell’otto ottobre al vagito di quel fagotto tutto occhi e bocca e pelatina. E tornerai a chiamarla paperetta e lei sorriderà coi denti belli e gli occhi neri e i suoi capelli, quelli di seta vera. L’abbraccerai e sentirai di nuovo che l’inverno è dietro alle spalle; torna Martina, e torna Primavera.

martedì 4 ottobre 2011

La motoserranda del '42

© di Natale Figura

La vita è un insieme di tante problematiche che pongono domande che necessitano di risposte. Alla domanda fondamentale “What else?” Che altro? La risposta è 42, e vi dico perché.
Quel lunedì mattina del 2157, nella mia casa romana, l’oroscopo, in fondo al ciclico olo-TG che ascoltavo al mattino, mi aveva avvertito: «Sagittario: giornata infausta per le transazioni economico-finanziarie. Attenti al 42».
Beh, non è che io credessi poi tanto a quelle frasi fatte, ma un certo senso di disagio me l’aveva tirato addosso.
Dopo aver fatto una ionidoccia, mentre arraffavo la mia tuta professionale in neo-pirellene azzurra con le sue dodici tasche, decisi di far sollevare la serranda motorizzata della camera da letto.
Con voce stentorea e volume elevato (poiché il meccanismo è vecchiotto e sordastro) ordinai: «Serranda su».
Cigolando la motoserranda incominciò a sollevarsi nelle sue guide lubrificate ed era quasi giunta a trequarti della sua corsa quando con un sinistro rumore metallico si spezzò in entrambi gli anelli che univano due stecche contigue: la parte inferiore precipitò con rombo di tuono nella posizione primitiva ‘giù’, mentre la parte superiore continuò a sollevarsi ‘su’ con uno stridulo sferragliamento.
Con la prontezza di spirito che contraddistingue noi Ingegneri Elettromedicali ordinai «Serranda STOP» e così tornò un salutare silenzio.
L’olo-TG ciclico, intanto, giunto nuovamente alla sezione ‘Oroscopo’, mostrava la perfida Annunciatrice Avatar con un sorriso a tutti denti che ripeteva a mio dileggio la solita frase: «Sagittario: giornata infausta per le transazioni economico-finanziarie. Attenti al 42». L’avrei strozzata, se fosse servito a qualcosa…
Mia moglie, svegliata di soprassalto, dalla sua camera adiacente alla mia venne a rendersi conto del perché stavo proferendo frasi ingiuriose all’Annunciatrice Avatar (che non poteva sentirle), alla motoserranda (che non era programmata per capirle) e al Tecnico Creiafes che l’aveva montata tre anni prima, che le avrebbe di certo sentite e capite al volo.
Pareva ‘divertita’ della situazione, mia moglie e, come sempre, aveva pronta una soluzione del problema: «Chiamo IRPLaD – disse – l’Intervento Rapido Piccoli Lavori Domestici; vedrai che risolveremo tutto in quattro-e-quattr’otto». E rivolta al VideFon pronunciò decisa: «VuEffe chiama IRPLaD».
Dopo nemmeno sette squilli rispose una voce argentina: «La nostra forza è l’efficienza, za-za… – cantò la musichetta iniziale – IRPLaD, salve, sono Ocram, come posso aiutarvi?»
A voce alta risposi: «Salve Ocram, abbiamo bisogno di un vostro intervento rapido per una motoserranda che fa i capricci. Può mandare qualcuno? Abito in via Appia 42 interno 8».
«Nessun problema, un Tecnico sarà da lei in quindici minuti – La nostra forza è l’efficienza, za-za…» concluse la musichetta.
«Sei sicura che abbiamo fatto bene? – dissi dubbioso a mia moglie che pareva soddisfatta come un gattone sazio – chissà quanto vorranno questi Tecnici dell’Intervento Rapido... non era meglio chiamare il solito vecchio Creiafes che l’ha montata a suo tempo?»
«Ma dai... – mi disse sorridendo – bisogna essere al corrente coi tempi… e questi aggeggi oggi non sanno più ripararli se non con le nuove tecniche. Vedrai, caro, andrà tutto bene».
Ora, non è per la spesa in più che mi preoccupavo, ma per il fatto che mi aveva chiamato ‘caro’ con una evidenza sospetta. Ci sentivo una punta d’ironia, quasi avesse voluto dirmi: “Ma come, caro, sei Ingegnere Elettromedicale e non sai risolvere queste minutaglie di problemucci casalinghi… Ehhh, se non ci fossi IO...!”
Tempo quindici minuti e la blindoporta d’ingresso annunciò: «Visitatore…zum, visitatore…zum, visit…».
«Ho sentito, basta così» risposi azzittendola e poi ordinai «Fai entrare».
Il Tecnico IRPLaD, era un Forgano delle Colonie di Sud-Est con un aspetto commendatoriale: pancetta pronunciata e spalle cascanti. La sua proboscide nasale, più lunga del normale, gli ballonzolava fino al nodo della cravatta e la sua tuta gialla da lavoro aveva ‘appena’ sei tasche.
Dove tenesse l’attrezzatura per ripararci la motoserranda solo il suo Dio Quadrupede poteva saperlo. Entrò strisciando i piedi a spatola e annunciò: «Il diritto di chiamata è di 42 Galatto-Crediti-Garantiti e va pagato anche se doveste rinunciare al nostro intervento».
“Caspita – pensai subito – che scoppola!” e lanciai uno sguardo a mia moglie che «Venga, venga in camera di mio marito – gli disse – la motoserranda d’aggiustare è lì». Come fosse stata colpa mia...
Il Forgano mi aggirò con una certa difficoltà dovuta alla prominenza ventrale e la seguì nella mia camera; osservò con aria saputa i due tronconi di serranda, si immobilizzò facendo a mente calcoli astrusi e pontificò: «Si è spezzata in due! – mostrando notevoli capacità deduttive e di sintesi – La riparazione è piuttosto difficoltosa e non potrà essere effettuata qui. Dovrò chiamare la Squadra Demolizioni e far trasportare tutto il sistema presso i nostri Laboratori dove gli Ingegneri Meccanici provvederanno alla riparazione. Quando avranno fatto – concluse – la nostra Squadra Ricostruzioni la ripristinerà al suo posto. Il tutto verrà a costare, con lo sconto del Primo-Cliente-del-Lunedì, circa 300 GCG, comprendenti anche il diritto di chiamata». Alla faccia dello sconto... era un’enormità! Avevo pagata la motoserranda a suo tempo 95 GCG e con la somma richiesta oggi avrei potuto ricomperarla nuova, o quasi, altro che usata e riparata. Guardai mia moglie che era sbiancata in volto e le feci un cenno di diniego.
«Ci sembra un prezzo altino...» alitò mia moglie al Tecnico-Commendatore il quale non si scompose più di tanto e anzi sentenziò: «Naturalmente salvo difficoltà tecniche che ora come ora non sono in grado di prevedere… sa, le parti di ricambio sono di provenienza dagli Asteroidi e poi la manodopera rincara a vista d’occhio...».
Allora, interpretando anche il pensiero di mia moglie, gli dissi: «La ringrazio del preventivo che ci ha fatto ma per il momento preferiamo soprassedere alla riparazione della motoserranda. Ci penseremo su e se decideremo di valerci della vostra organizzazione richiameremo » e lo accompagnai verso l’ingresso congedandolo, dopo aver versato a malincuore nelle sue rapaci mani a tre dita la somma fissata di 42 GCG.
«Soldi buttati... – dissi infastidito a mia moglie – ora sentirò il vecchio Tecnico Creiafes, se può venire».
Alla videfonata rispose subito una voce tremolante, carica d’anni e di esperienza: «Si, Ingegnere, mi ricordo di lei… tre anni fa mi fece installare le serrande motorizzate alle finestre della sua casa, scegliendo personalmente un modello del ’42, superato tecnicamente, solo perché costava il trenta per cento in meno di quello organotronico che le avevo proposto io – ancora se lo ricordava il malnato – cosa posso fare per lei?»
«Vede, Tecnico, è successo un fatto strano, hehehe… da poco conto, hehehe… insomma… quella della mia camera si è spezzata in due tronconi e ora è mezza su e mezza giù. Può fare qualcosa per ripararla? Che non sia troppo costoso, naturalmente (e qui si notava la mia capacità commerciale nelle trattative economiche) ma che mi garantisca la funzionalità ancora per mooolto tempo. Può venire subito? »
«Proprio subito, no – rispose con mio dispiacere – ma tra due ore sarò da lei. Ha detto che si è spezzata di netto, vero? Proprio come prevedevo... Arrivo!»
Arrivò, altissimo oltre i due metri e dinoccolato come me lo ricordavo e sempre più rosso nella sua pelle squamosa e incartapecorita.
Scrutò il sistema motorizzato, che fremette.
Provò i comandi elementari ‘su’ e ‘giù’ e ‘stop’ e la motoserranda a LUI obbedì docile.
Fece combaciare i due spezzoni ed estrasse da una delle dieci tasche della sua rossa tuta specialistica quelli che mi sembrarono due vermi di palude applicandoli al posto degli anelli spezzati.
«Stringi» ordinò prima all’uno e poi all’altro dei due ‘vermi’ attraverso uno strumento filiforme e quelli si infilarono nei fori lasciati vuoti dagli anelli spezzati e si contorsero su se stessi fino a prendere una forma appiattita e solida.
«Fusione» ordinò ancora per il tramite dello strumento e quelli arrossati da calore interno si saldarono tenacemente alla struttura della motoserranda completando il processo di riparazione sotto i miei occhi.
In non più di dieci minuti, il tempo cioè che occorre a me, nel mio Laboratorio a Lunar, per vivisezionare uno squaloide di Mirto-1 di Antares.
Ero soddisfatto del risultato: la motoserranda pareva nuova. Però ora dovevo pagare... chissà quanto mi avrebbe chiesto il vecchio Creiafes. Gli artigiani, oggi così rari sulla Terra, sono in genere molto avidi.
«Sarebbero 70 GCG – incominciò rivolgendosi a mia moglie che aveva assistito in silenzio (cosa rara) – ma siccome siete vecchi clienti ne accetterò soltanto 42. Scommetto che prima di videfonare a me avrete chiamato quelli della IRPLaD, giusto? – e continuò – Quelli sono solo ladri e approfittatori che vogliono un diritto di chiamata di 42 GCG. Poi dopo un po’ di manfrina e lunghe elucubrazioni sparano cifre esorbitanti per una riparazione da niente, terrorizzando il cliente che rinuncia e poi chiama noi vecchi artigiani».
«E’ andata proprio così – ammise mia moglie mogia, mentre io al solito rimanevo in silenzio. Quando parla lei… – però ci avrebbero fatto un lavorone totale, asportando la serranda per ripararla presso i loro Laboratori e dopo la loro Squadra Ricostruzioni l’avrebbe rimontata qui interamente rimessa a nuovo».
«Macchè, macchè lavorone… – concluse il Tecnico Creiafes rigirando di più il coltello nella piaga – quelli, i Forgani, NON AVEVANO ALCUNA VOGLIA di effettuare un lavoro per voi. Quelli non lavorano mai e vivono soltanto con i 42 GCG del diritto di chiamata».
What else? Che altro? Nothing than 42! Nient’altro che 42

lunedì 5 settembre 2011

Compagno Eroe

© di Natale Figura

   1917, dal diario di un Bolscevico: “La rivolta contro lo Zar era stata al momento sedata a colpi di sciabola e quasi cento compagni arrestati erano stati condotti al Carcere Saratov sul Volga”.

   Nella sala interrogatori del carcere, come veniva chiamato quell’ambiente dedicato alle torture dei prigionieri politici, quattro rivoltosi erano appesi per i polsi.
   «Più forte, porco D...» gracchiava il Direttore ai militi che flagellavano i malcapitati. Godeva delle loro strazianti grida di dolore. Inframmezzava domande ai colpi di frusta, senza peraltro attendere risposte, pago solo dei gemiti e degli acuti lamenti. Ma adesso, dopo quasi un’ora di lavoro, la cosa gli era divenuta monotona... Ordinò una pausa e fece slegare il più anziano facendolo porre sul bancone centrale, mani e piedi ammanettati ai quattro vertici.                                           
   Ora sì che si sarebbe divertito, pensava sadico ridacchiando.
   Con un rasoio tagliò via i pochi stracci che quello ancora indossava.

   Con sguardo assatanato prese da uno scaffale una bottiglietta di un liquido verdastro e con un sadico ghigno di soddisfazione si avvicinò al tavolo.

    «Come ti chiami?» Articolò senza interesse alla risposta. «Chi sono i tuoi Capi? Dove vi riunite?» Rivolse a valanga le domande al soggetto che si torceva urlando di dolore mentre gli stillava sul torace, sull’addome e sui genitali scoperti gocce di quel liquido ustionante. Dalla bocca rivoli di bava gli scendevano mentre torturava l’infelice.
   Gli altri prigionieri, appesi come sanguinolenti quarti di bue seguivano terrorizzati la scena: sapevano bene che sarebbe toccato anche a loro e non nutrivano speranze... quelle erano le loro ultime ore di vita.

   Non parlare, morirai comunque. Non tradire la causa!” ordinò mentalmente a se stesso il vecchio bolscevico. Sapeva che non avrebbe retto ad altre torture e allora con forza si tranciò coi denti la lingua, preferendo soffocare nel suo stesso sangue.